STORIA
Camminavo con Paolo Curreli sul bagnoasciuga di Marina Residence, doveva essere l'agosto del 1995. Avevamo appena vinto un torneo a Monserrato, con una squadra nata dalla fusione di due gruppi storici: la squadra della scuola (più o meno tutti della sezione "F" del Dettori, tanti tornei interni giocati, nemmeno uno vinto) e quella del Circolo Scacchistico cagliaritano. Solo io, Paolo Masia ed Enrico Vignali avevamo esperienze nel campionato regionale FIGC (serie C); io avevo avuto l'occasione di unirmi alll'under 21 della Delfino, allenata allora da Andrea Congiu e, grazie a lui, diverse volte anche con la prima squadra di Gianni Melis. Avevo imparato più in un paio di mesi che nei 6 o 7 anni precedenti. Camminavo con Paolo e ci dicevamo che sarebbe stato bello "istituzionalizzare" la nostra squadra e disputare la serie C.
Qualche settimana dopo bevevo un caffè con Goffredo Angioni, suo padre e Gianni Aramu, presidente della Polisportiva Mediterranea. Bastò mezz'ora per trovare un accordo. La polisportiva avrebbe aiutato a sostenere i costi, noi avremmo curato la gestione tecnica. Quell'accordo è durato dodici anni. Ricordo la visita in Federazione per iscrivere la squadra, la ricerca dei campi, i primi allenamenti all'Oratorio San Paolo e l'emozione della prima gara. Chi avrà la voglia di rovistare in questo spazio web troverà diversi accenni a quel sabato pomeriggio, con l'attesa interminabile, ingannata andando a comprare shampo e una fascetta per capelli (che allora portavo decisamente lunghi) che tuttora indosso in campo. Perdemmo in casa contro l'Oristano, dopo che Goffredo ci aveva portato in vantaggio su punizione, alla presenza di tanti amici e di Gianfranco Puddu, allora selezionatore della rappresentativa regionale under 21. Io segnai su rigore.
Alcune cose erano banali, improvvisate. Altre destinate a passare dal ricordo al mito. Come la ricerca dello sponsor. Non potevamo garantire nessuno sgravio fiscale e avevamo poche conoscenze nel mondo del lavoro. Trovare chi ci sovvenzionasse, per... l'onore di mettere il nome nelle nostre maglie non era facile. Una notte sognai che il nostro sponsor era il locale "Bowling". La sera lo raccontai all'allenamento. Stefano Mozzoni disse che suo padre conosceva il proprietario e meno di un mese dopo il logo campeggiava sulle nostre maglie rosso-blù, mentre la nostra foto di squadra venne messa in bacheca dietro le piste al locale. Non ci vado da almeno 5 anni: chissà se c'è ancora.
Ancora la settimana scorsa, Diego Podda parlando ai nostri ragazzi ha ribadito che "la Mediterranea è una squadra diversa da tutte le altre". Mi chiedo da cosa dipenda. Forse la risposta è proprio in quel primo anno, in quella particolare forma organizzativa. Nell'avere un gruppo di organizzatori che sono anche giocatori. Nel cercare sempre e soltanto ragazzi come noi, criterio più importante della capacità tecnica. Nell'insistere con testardaggine nell'avere un numero certo di giocatori in rosa e mantenerlo inalterato durante l'anno. Ovvero rifiutando qualsiasi acquisto in corsa ma anche impegnandosi a fondo perchè nessuno voglia lasciare. Queste semplici regole, e più in generale l'approccio filosofico al campo, modellato su quello della vita di tutti i giorni (o viceversa?), ha creato una selezione naturale nella formazione del gruppo, attirando certe persone e lasciandone lontane altre. Quelle (ho la presunzione di pensare) che vogliono vincere, ma senza stancarsi. Quelle che considerano la sconfitta scabrosa, perchè li costringe a guardarsi allo specchio. Quelle che non guardano le partite in tv, ma non perdono un minuto delle "trasmissioni sportive". E quelle che non hanno rispetto per l'avversario, per il compagno, per l'allenatore (e ovviamente nemmeno per se stesse).
Sono decisamente più di cento le persone passate per la Med. Non tutte ne hanno sposato le idee.
Ma molte ci sono state bene e sono state fondamentali per costruire la nostra storia. Sono gli stessi che ogni tanto compaiono a vedere le gare, o mi chiamano per sapere come va la squadra, o quando incontro per caso quasi subito mi chiedono del gruppo, e guardandoli negli occhi capisco che non è come parlare del tempo. E' bello sapere che con loro ho condiviso qualcosa; e che è stato importante per loro quanto per me.
Ed è bello pensare che come una grande nonna, la Med ha visto molti di noi crescere piano piano. Ha presenziato a nascite, battesimi, lauree, matrimoni: perchè a tutte queste celebrazioni era il denominatore comune di diversi invitati, oltre che dei festeggiati. I commenti sulla gara appena giocata, le impressioni sulle avversarie, l'appuntamento per l'allenamento seguente sono stati i temi di conversazione di quegli incontri; qualche ragazzo faceva un altro passo importante nella vita, e intanto il campionato andava avanti, immancabile come il Natale e il Ferragosto.
Abbiamo dato ragazzi alla rappresentativa, lanciato allenatori, aiutato a formare talenti. Abbiamo dato sempre l'esempio, restando un pilastro per tutto il movimento. La Med è una certezza, non ci sono dubbi sulla sua iscrizione al campionato nè sulla serietà del suo gruppo. Chiedete in giro. Non ci sono dubbi sul suo nome (anche se due anni fa, finalmente maggiorenni, abbiamo lasciato la Polisportiva per camminare da soli), nè sui suoi colori o sul suo stemma.
E dopo aver gioito e gridato, passato notti al pronto soccorso e corteggiato le nostre donne, ma solo dopo la partita, grazie soprattutto a chi è rimasto fedele al nostro giocattolo, i Ricky Amitrano, Costantino Pilo, Alessandro Mura, giusto per fare qualche nome, si prepara ad un nuovo campionato, il numero 14. Ambiziosa verso il risultato, e immancabilmente coerente, cerca di scrollarsi di dosso l'inevitabile pressapochismo di questi anni, ed una certa amatorialità, ma sempre nel rispetto del proprio spirito. Pronta ad essere protagonista e a giocarsi il campionato. Ma se questo traguardo dovesse fallire, e all'ultima giornata la incostraste spaesata nella palude del centro classifica non contate su una vittoria facile: perchè lotterà alla morte fino all'ultimo anche solo per quei tre punti così insignificanti.
Che per noi significano tutto.